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  • Immagine del redattoreAlitaki

Oggi sono io

“Prima o poi io lo faccio”. Antonino ha gli occhi normanni, chiari come il mare in un giorno di sole. Quando scopre che ho fatto il Cammino di Santiago quasi si commuove. L’impatto non è stato dei migliori: sono entrato nel suo Bar Sport timoroso, tra qualche occhiata dei vecchietti di Licata e lui che non mi considerava nemmeno, impegnato in una video chiamata con un amico. Nel frattempo erano entrati anche due ragazzi con degli zainoni grossi quanto il mio. In viaggio basta questo per iniziare a chiacchierare. Loro vengono dagli Stati Uniti ma vivono in Polonia, sono marito e moglie, entrambi giovani e belli. Li aiuto a parlare con Antonino per comprare il biglietto, devono andare nella direzione opposta alla mia, peccato.

“Did you have the same impression about Sicily?” MI chiede lui, concitato. Ecco, ci siamo. Ora mi rovescerà addosso una carrellata infinita sui disservizi, sul fatto che nessuno parli l’inglese e poi... poi lui non mi lascia nemmeno rispondere: “It is unbeliavable. The most incredible place I’ve ever seen”. Sorrido emozionato, non mi sento di aggiungere altro. I due se ne vanno quasi subito, io ho ancora molto da aspettare e mi metto comodo, seduto su due sedie di plastica impilate l’una sopra l’altra. Antonino ha il suo bel da fare, tra gente in coda per il bagno (e dato che io sono seduto davanti tutti mi chiedono in continuazione se è libero) e ragazzi che comprano biglietti della lotteria. Dopo circa mezz’ora fa la sua comparsa un signore abbronzato. Polo azzurra, capello all’indietro impeccabile. Inizia a parlare in siciliano con Antonino, capisco poco ma capisco.

“Prima meglio la facevi!”

Antonino si mette a ridere, poi lo vedo armeggiare dentro il congelatore, tira fuori una vaschetta in alluminio.

“Questa è crema!” Dice.

Nel frattempo da buon polentone mi sono alzato per andare alla cassa. Manca più di mezz’ora alla partenza del bus eppure voglio pagare, non sia mai che Antonino pensi male di me. Ma a lui, di me, non gliene frega proprio niente. E’ impegnato a difendere a spada tratta la sua granita. Il signore abbronzato è serio, quasi arrabbiato, ma capisco che scherza perché mi lancia qualche occhiata divertita. Per due volte fa per andarsene, poi torna indietro per aggiungere qualcosa.

Quando se ne va, Antonino è tutto per me.

“La vuole assaggiare la mia granita al limone?”

Come posso dirgli di no. Me ne versa un bicchiere colmo fino all’orlo. Nemmeno da dire, è buonissima. Sa solo di limone. E basta.

“Da quando quel signore ha scoperto che faccio la granita più buona di Licata viene sempre da me. Solo che è pretenzioso! - Mi spiega. E aggiunge – lo chiamo il sommelier delle granite.”

Ridiamo, mi porto senza volere la mano al ciondolo che ho intorno al collo, Antonino lo riconosce subito.

“E quanto ci hai messo a fare il cammino?” “Duro è?” “Io mi ero informato, volevo partire da Gela!”. Mi dice che appena potrà liberarsi dal lavoro lo farà. Mi chiede incuriosito che sto facendo in Sicilia con uno zaino così grande e il treppiedi. Appena gli parlo di Radio Speranze si fionda davanti al pc per seguirla su Facebook. Ci salutiamo con uno sguardo d’intesa, come vecchi amici.

La Sicilia non ha fretta, e non tu non devi avere fretta con lei. Non mi stancherò mai di ripeterlo, ormai è un piccolo grande segreto che porto con me in ogni momento. Con Antonino, ma anche a bordo di un treno lungo una carrozza, da Gela verso Ragusa. Certo non la migliore vetrina per il trasporto ferroviario della regione ma, per me, il miglior mezzo possibile.

Oggi avevo pensato di arrivare fino a Noto per poi prendere un altro bus verso una meta a cui tengo molto. Ma poi, mentre aspettavo il treno, ho pensato che sarebbe stato decisamente troppo. Nel frattempo, mi è venuto a trovare un ricordo. Un pomeriggio di un’estate calda ma ventilata come questa, l’arrivo quasi per caso a Marina di Ragusa, quindi a Punta Secca. Sarò sincero fin da subito: è stato Montalbano a portarmi qui. Quando, qualche anno fa, ero stato da queste parti volevo vedere casa sua. Ma ricordo bene che nel lasciarmi il paese alle spalle avevo sentito che c’era dell’altro, che questo era un posto – raro – in cui avrei dovuto fare ritorno. E così ho fatto. Ho trovato alloggio in un campeggio poco fuori, sono tornato verso il paese camminando sul bagnasciuga. La spiaggia dove sorge la casa di Montalbano, che poi è un bed & breakfast, è a forma di abbraccio, ci sono molte più costruzioni di quelle che si vedono in tv ma, alla fine, non ci stanno poi male. Subito ho pensato di sedermi lontano dalla casa: che figura da turista avrei fatto? Poi no, me ne sono fregato, e mi sono messo sotto un muretto, subito a destra della terrazza da cui il commissario sorseggia il caffè appena sveglio. Mi sono appisolato per un’oretta e al risveglio c’era una voce allegra e intonata che cantava Pino Daniele. Sono salito sul piazzale sopra alla spiaggia, ho scoperto che la voce appartiene a un omone con la barba bianca e i capelli ricci. Ha l’accento del nord ma, come racconta a qualcuno, vive in Sicilia da ormai dodici anni. Gli lascio qualche spicciolo, gli chiedo di cantarmi una canzone di De André. Sceglie don Raffaé e la cantiamo insieme, mentre il sole si abbassa sul mare. La più bella Don Raffaé della mia vita. Poi attacca con Rimmel ma è interrotto dalle campane della chiesa. Faccio per andarmene, ma prima mi avvicino all’uomo un’ultima volta. Gli tocco la mano, almeno tre volte più grossa della mia.

“Come si chiama?”

“Se mai come mi chiamo!” Mi sgrida prontamente. “Alessandro, anzi no Ale”.

“Grazie”. Lo dico cercando di esprimere la più alta gratitudine. Poi lascio Ale alle spalle, mentre il sole sfuma dietro una nuvola umida all’orizzonte.

Per descrivere come mi sento ho in mente una canzone precisa. E anche qui qualcuno potrebbe storcere il naso. Perché è roba commerciale, perché questa non è vera musica. Ormai è arrivato il crepuscolo, prima di andare via guardo ancora per qualche istante dei bambini che giocano con secchielli e palette. Stanno cercando di catturare qualche pesce, uno è talmente eccitato che saltella e grida a più non posso. A loro di cosa sia giusto fare, di cosa sia commerciale o meno non gliene frega un bel niente.

Loro sono loro e, oggi, io sono io.



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