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Dubrovnik

Ragusa. Il nome evoca una bellezza ispida, che non si vuole svelare. Nella versione croata assume ancora maggior fascino, perché a dire Dubrovnik si respira lo spirito dei Balcani, e a pronunciare il termine ci si sente padroni della lingua locale.

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Poco più di vent’anni fa la città vecchia bruciava, divelta da una guerra crudele. I tetti della case furono quasi tutti distrutti e oggi il rosso vivo delle nuove tegole imperversa su quello sbiadito delle poche costruzioni rimaste in piedi. Le strade, lastricate di una pietra morbida e calda, erano ricoperte da un tappeto di polvere. Oggi non ci si fa più caso. Quando c’è il sole si è accompagnati da una luce avvolgente e a fine estate una leggera brezza marina allenta la morsa del caldo. Lo stradun taglia in due la città, e da un lato lascia intravedere ripide scalinate che si inerpicano silenziose, mentre dall’altro fa risuonare nell’aria il baccano dei turisti, entusiasti davanti ai tesori barocchi della città.

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E’ però dalla cima delle sue spesse mura che si capisce Dubrovnik: nel tratto che si getta a capofitto in un mare blu profondo, dalle porte di accesso alla città, dove sbirciando dalle feritoie si vedono case con piccoli giardini, lenzuola messe a stendere e persino un campo da basket. Si deve percorrere per intero questo grandioso abbraccio di pietra all’alba, al tramonto, sotto il sole cocente, da soli od in compagnia di migliaia di persone. Perché è da lì, e soltanto da lì, in mezzo a tanta bellezza, che si respira forte il profumo di vita.

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