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Gli occhi buoni di Oppido



La ragazza ha le spalle abbronzate, i capelli lisci che spuntano da un cappello nero a falde larghe. É appena arrivata, ma in reatà non se n’è mai andata davvero.

“Eh ma potevi avvisare!"

“Dai, fatti abbracciare!”

Lei non si nega a nessuno, poi finalmente si siede al tavolino del bar della piazza e ammette felice “mi tremano le gambe”.

Qui a Oppido Lucano la gente del Sud parte, ma a volte ritorna pure. E chi non riesce a farlo ci pensa giorno e notte, prima o poi un modo lo troverà. Clemente se ne andò in Germania quando aveva vent’anni, a fare il muratore. Nonostante la giovane età fece da chioccia a tanti altri italiani che lo seguirono. “Ero uno dei pochi ad essere andato a scuola, quando finivo di lavorare mi mettevo a scrivere le lettere per gli altri”. Tornó dopo dieci anni, perché suo figlio non lo riconosceva più. A Oppido aveva un terreno comprato dal padre, anche lui emigrato a inizio Novecento in America e poi tornato alla base, pare trascinato dalla moglie, stufa delle sue scappatine a Nuova York. Costruì la casa con le sue mani, mattone dopo mattone, ogni piccolo traguardo veniva festeggiato come se fosse Natale. Oggi la casa di Clemente è una palazzina a tre piani che si affaccia su prati verdi e colline ricoperti di boschi. Ha tre figli, uno per piano. Più si addentra nel raccontarmi la sua vita e più gli occhi si fanno brillanti, a tratti lucidi.

In questo paesino di cinquemila anime la sera si passeggia lungo la strada principale, un tragitto della durata di venti minuti può durare anche un’ora, a furia di salutare tutta la gente che si conosce e con cui ci si intrattiene per due chiacchiere e pure qualcosa di più. Nessuno ha fretta e sì, gli anziani guardano con un po’ di diffidenza lo straniero, ma poi lo accolgono a braccia aperte. Come successo qualche anno fa con una band heavy metal, capitata nel paesino per un concerto e che si aggirava affamata per le viuzze del centro storico. Di ristoranti aperti nemmeno l’ombra. Un’anziana signora non ci pensò due volte, invitò a cena quattro ragazzi tatuati e con piercing su ogni parte del corpo. "A questi figlioli bisogna pur dare da mangiare!"

Oppido è un posto in cui la gente guarda, osserva, scruta. Si respira aria di saggezza e cultura, e non solo per via delle tante, tantissime persone che hanno scelto l’insegnamento come strada nella loro vita. Oppido è un paese in cui, se si ha la fortuna di poter entrare in una delle case del centro, ci si imbatte in incontri destinati a rimanere nell'animo di un viaggiatore.

Ieri ho conosciuto Nino, artista da sempre e (quasi) da sempre sposato con la signora Maria Maddalena. La maestra elementare del paese che ancora adesso si abbraccia le sue alunne, e quando parla ha il tono compunto e perentoreo delle insegnanti di un tempo.

“Ma che volto simpatico!” Mi dice Nino appena mi vede. Io lo ringrazio imbarazzato, ci sediamo all’ombra del suo balcone, proteso, manco a dirlo, sul verde della Basilicata. Vorrei intervistarlo, ma a che servono le domande davanti a un giovane novantunenne che spiega con dovizia di particolari tutta la sua vita. Che a volte si interrompe per dire “non so se mi sono spiegato” e io annuisco con la testa incantato. Certo che si è spiegato, Nino. Un uomo che ha dedicato tutta la vita alla scultura e con entusiasmo e slancio mi dice “Vai a Tolve, ci sono dei miei lavori”. A volte, mentre racconta, Nino si interrompe per farmi vedere un nibbio che vola in picchiata sulla vallata. Poi mi parla della spiritualità. “Dentro c'è tutto, è la chiave per capire l’arte, per capire la vita.” Quando finiamo di chiacchierare Nino di dirige verso uno scrittoio incasinato (- un giorno o l’altro lo lascio per questo disordine! - tuona la moglie) e mi autografa un suo libro. La dedica dice così:

A Matteo MANGILI (scritto in maiuscolo) con simpatia ed ammirazione.

I saluti durano ancora una decina di minuti, io vorrei stare ancora con lui, conservare un po’ della sua energia. Lui sembra capirlo e mi dice:

“Promettimi che torni qui una volta con calma, ti invito a cena”.

Sì, va bene. Ci stringiamo la mano in maniera solenne davanti agli occhi pieni di vita del nipote. “Mi raccomando, me lo dica (salta dal lei al tu con nonchalance) con anticipo in modo da poter organizzare”.

Ma certo!

Lo saluto emozionatissimo ma lui vuole aggiungere ancora qualcosa. A titolo personale, come dice lui.

“Sei davvero simpatico, te l’ho detto da subito. E complimenti per come svolgi il tuo lavoro.”

Non so più che dire, ho brividi in tutta la parte del corpo e gli occhi sono liquidi.

Gli occhi, gli stessi occhi che ho visto brillare a papà Clemente, all’artista Nino.

Qui, a Oppido, la gente ha gli occhi buoni.


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