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All In


Il pavimento è ricoperto di moquette. Beige, soffice e profonda. Ricorda la sabbia di quei posti dorati della riviera, decaduti da tempo. I muri sono tappezzati di un turchino accecante, appena ingiallito e scrostato negli angoli. Bisogna far vedere che quello è un casinò di una volta. Qualcuno al proprietario gliel'ha fatto notare: va bene il retrò, ma non così tanto. Lui, un cocainomane dall'espressione geniale, ha detto che no, si deve andare fino in fondo. E poi, ormai, chi ci va più nei casinò? Falliti, gente sola e intristita. Non ha senso che tutto brilli e sbrilluccichi quando dentro ci si sente così, meglio esserne uno specchio fedele.

Arturo ha nostalgia per epoche mai vissute. Come quella dell'immediato dopoguerra, delle canzoni francesi che fanno piangere anche se non si capisce una parola, di uomini con occhi di ghiaccio che si sciolgono al primo whiskey. Di sigarette che, tra una capriola e l'altra di fumo, celano donne bellissime. Forse, a quel tempo, si sarebbe sentito più a posto.

È arrivato al casinò presto, è un tipo preciso. Per un po' di tempo, ha cincischiato all'ingresso. Ha fatto uno, due scalini, è tornato indietro. Arturo si è rinchiuso in macchina, a riempirsi la testa di qualsiasi minchiata gli offrisse il cellulare. Poi si è guardato i gemelli della camicia, ha sfiorato i capelli appesantiti di brillantina e si è fatto coraggio. È entrato con passo sicuro, troppo sicuro, e all'usciere non deve essere certo sfuggito il disagio. Arturo si è diretto verso il grande salone, quello della roulette. È pieno di gente e lui indossa un sorriso storto, trattiene a fatico il respiro ansimante. Tiene le mani un po' in tasca un po' fuori, incerto su quale sia la posa migliore.

Vado al bar, si va sempre al bar come prima mossa, ha pensato. Un Gin Tonic, ha comandato a un barista qualunque. Avrebbe voluto dire qualcosa di più, chiedere una marca invece che un'altra, ma ha paura di fare brutta figura. Ora tracanna un cocktail di cui non sente il gusto, e intanto vaga con gli occhi, alla ricerca di un po' di conforto.

Lei sorseggia un Margarita, altra scelta scontata. Annuisce distrattamente alla donna di fronte. Gli occhi, tondati da una leggera matita nera, tradiscono una certa inquietudine, o così è sembrato ad Arturo. Gli occhi, sempre gli occhi. Come quando erano spuntati dietro un muro grigio, in un'estate di tanti anni fa. C'era della musica allegra, la gente ballava e lui, impacciato, si era sentito chiamare per nome. O in una libreria, un sorriso celato da una sciarpa di lana grigia, ma percepito grazie a due gemme castane. Gli occhi vibrano e parlano, dicono e pensano. Gli occhi delle donne che ha amato sono quello che resta. Non lo lasciano mai, di notte ci ripensa appena spegne la luce e di giorno, quando si sveglia, si gira dall'altra parte del letto e li vede. Spesso si ritrova in compagnia di uno sguardo. È di una donna mai conosciuta e che forse mai conoscerà, ma che sa per certo di amare. E poi ci sono gli occhi di Arturo, che delle volte si sono bagnati di una commozione autentica e pura, come una stalattite di ghiaccio. In quei momenti, quando Arturo piangeva di felicità, pensava che non gli servisse più niente, che era quello l'attimo per cui valeva tutto. Ma le emozioni le devi gestire, altrimenti ne rimani travolto, gli aveva detto una volta qualcuno. E lui ci aveva provato, ogni volta che gli sconquassavano il petto e bruciavano in gola. Le buttava giù, come si fa con uno sciroppo per la tosse. Ma il rigurgito dell'emozione usciva negli occhi, sempre quei maledetti occhi. Si offuscavano di cupa tristezza, trasmettevano atroce sofferenza.

Arturo guarda la donna. Ha un bel vestito nero, una scollatura accennata sul seno tondo, le spalle nude. I capelli sono avvolti in uno chignon, un ciuffo ribelle le sfiora la fronte. La immagina seduta al tavolo di un bar della sua città, o sulla poltrona di casa. Il ronzare di uno scooter lontano, il litigio proveniente dall'appartamento vicino. Quando lei inizia a parlare tutto cessa di fare rumore. Arturo la immagina, anzi la vede proprio piangere delicatamente, in silenzio. Arturo è immobile, non sente nulla, è tutto vuoto dentro di lui. Ha il respiro ampio, quasi si direbbe indifferente. Assapora gli ultimi istanti, il bacio che si sono dati poco prima, l'odore che c'era nell'aria e sapeva di disinfettante. Rivive i momenti passati ad accarezzarle i capelli, le frasi sussurrate nel dormiveglia di una notte qualunque. Vede la scia di una nave che li porta lontano, per un viaggio che si erano promessi di fare. Sente la sua risata esplodere dopo una battuta. Arturo aspetta ancora qualche minuto, per trovare la forza. Poi si alza, la saluta e si divincola dall'abbraccio. Ha fretta di andare, di sentire finalmente il dolore e di accoglierlo come un vecchio amico. Forse proprio come quel tale, quello delle emozioni, che un'altra volta gli aveva detto: vedi? Vai troppo sparato, devi imparare a contare. E intanto Arturo finalmente sente le lacrime. E i singhiozzi, le urla e gli viene da prendere a pugni il muro. Potrebbe contare tutta la vita, Arturo, ma non basterebbe per arginare quell'onda che a volte avanza, altre indietreggia, ma sempre si muove, e spesso s'infuria dentro di lui.

Arturo guarda la donna vestita di nero. Forse ci dovrebbe andare a parlare. È quello il momento in cui sale l'agitazione, l'attimo che anticipa la folgorazione.

Uno, due, tre.

Arturo conta.

Quattro, cinque.

Arturo, che ha tante rughe sulla fronte, e intorno agli occhi, Arturo che ha i capelli ormai bianchi da tempo nonostante non abbia nemmeno quarant'anni, è in piedi.

Sei, sette, otto.

Rallenta impercettibilmente davanti alla donna. Prosegue.

Nove, dieci.

Arturo è al tavolo della roulette, non ci ha mai giocato in vita sua. Dalla tasca della giacca prende l'intero malloppo di fiche colorate, le mette sul tappeto verde, in corrispondenza del cinque rosso.

- All in.

Il croupier lo guarda con pena. Poveretto, non sa nemmeno che quella è un'espressione del poker.

Arturo sente l'onda montare dentro di sé. La lascia sfogare, e scopre che per una volta si tratta di rabbia. L'onda è ormai spuma biancastra, che nasconde l'azzurro del mare e tutto il resto.

- All in.

Lo ripete con voce seria e un po' troppo alta, per un posto del genere.

Il croupier abbassa la testa, prende la giocata.

- Les jeux son faits, rien ne va plus.

La roulette gira e rigira, rosso e nero si mescolano, diventano un bianco indistinto. E in quella centrifuga impazzita, in un vortice confuso e insensato come l'onda dentro di sé, Arturo ci vede gli amori della sua vita. Tutte le volte che si è sentito dire che era troppo, e quelle in cui non era abbastanza. Il disco rallenta, la pallina sta cercando il suo posto dove fermarsi. Sbatte da una parte all'altra ma, quando ancora si deve arrestare, Arturo ha già deciso di andare.

- Monsieur, monsieur, grida il croupier.

Arturo è già fuori, la fronte madida di sudore, la gola ostruita. Il cuore batte impazzito.

Dentro, la donna vestita di nero continua a contare.

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