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  • Immagine del redattoreAlitaki

Vivo nel mio mondo


Dormo su un materasso messo per terra, ed è uno dei letti più comodi che ricordi.

Stamattina la sveglia ha suonato alle sette, poi alle sette e cinque, ai dieci, ai quindici, e così via fino ai 35, quando finalmente mi sono alzato. Da tempo ho smesso di provare sensi di colpa per non andare a lavoro tutti i giorni. E quando non mi alzo, perché piacevolmente avvolto dal tepore del letto, l’unica colpa che sento è la mia, per aver sprecato del tempo. Stamattina non è andata così, e quando ho aperto le persiane c’era un’alba su un cielo sereno e un mare azzurro. Come a dire: avanti. Allora mi sono vestito, ho versato il the ancora bollente nella borraccia e sono partito. La prima mezz’ora è stata dura. Sì, scrivo dura senza mancare di rispetto verso chi, nello stesso momento, stava lavorando da ore. Sì, scrivo dura anche se facevo la cosa più bella del mondo, almeno per me, camminare. Avevo la maglietta di cotone zuppa di sudore, ma ogni volta che pensavo di togliermi qualcosa di dosso arrivavano folate di vento freddo. Il sentiero all’inizio è ripido, e in certi punti era persino ghiacciato. Ma sapevo che il paesaggio, e quindi il mio umore, sarebbe cambiato una volta giunto in cima al crinale. Ed è stato esattamente così, con la neve compatta, rigida e immobile che risaltava ancora di più lo scintillio del mare, lontano. Ho aumentato d’intensità la camminata, fino ad arrivare all’ultima salita. Fin da subito ho messo da parte l’idea di seguire il sentiero, non c’era verso di trovare una x rossa tra tutto quel bianco. Sono andato a intuito, o forse semplicemente a caso, seguendo vagamente il profilo del monte. La mia era un’andatura barcollante, avevo il fiatone e i piedi bagnati. Poi ho cambiato di nuovo crinale, e qui il paesaggio da nevoso è diventato glaciale, i rami degli alberi sostenevano cumuli giganti di polvere bianca. L’aria era tersa, fredda, e se respiravo dal naso sentivo bruciare. Ho seguito delle impronte di ciaspole e dopo aver attraversato una piccola gola ho fatto l’ultimo pezzo deciso, in verticale, guardando in maniera fissa e ostinata una roccia. Lì, una volta arrivato, c’era la statua di una Madonnina e la “vetta” del Monte Reixa. Che poi, monte. Forse dovrei rivedere il termine, altrimenti la gente di montagna si arrabbia. O forse no, lo lascio così, perché per me oggi il Reixa è stato come conquistare una punta ben più alta e remota. Scendendo, ho pensato a quanta fortuna che ho. E mi sono persuaso che oltre a quella forse c’è pure un po’ di merito. Ho riflettuto, come faccio spesso, sui corsi e ricorsi della vita vissuta. No, non ci sono rimpianti: tutto va come deve andare. E adesso, più di altre volte, mi sento su una strada forse isolata, poco trafficata, ma sempre più mia. Ho pensato, mentre tornavo, a queste parole da scrivere, e quasi già mi immaginavo la facilità con cui sarebbero uscite dalle mie dita. Perché ormai scrivere non è più un desiderio, un modo di comunicare o raccontare. Scrivere è una necessità, è ascoltarsi dentro e sapere che è questa, e solo questa, la cosa che so fare davvero.

Il mio mondo è fatto di sogni e fantasmi, di ambizioni e paure. È un mondo dove tutti possono entrare, perché da solo sto bene, ma se qualcuno vuole condividere un pezzo di strada, e magari intanto regalarmi qualcosa del suo vissuto, la porta è sempre aperta. Il mondo, il mio mondo è andare, viaggiare e scoprire. In questi giorni sto leggendo Moby Dick, e sfido qualunque zingaro errante a non voler prendere la via del mare quando legge di un’intrepida ciurma che si accinge a veleggiare per anni, alla scoperta del mondo. Oggi, quando sono andato sul Monte Reixa, l’ho fatto pensando che da lì avrei visto le Alpi, le montagne vere, quelle dove adesso non posso andare. Ma sarà stato il sole, il riparo dal vento, sta di fatto che una volta sul Monte ho gettato solo qualche occhiata alle vette del Monviso, del Bianco, che pure spuntavano oltre la grande pianura di nebbia. Per il resto mi sono concentrato su Genova, sulle colline che in prossimità della costa si facevano verdi, sul mare che continuava a brillare dorato. Così sono tornato, felice, a scrivere di questa mattinata. E poi scriverò ancora, racconti, messaggi, lettere. Persino un libro.


Scriverò dal mio mondo, che ogni giorno costruisco con errori e fatica, pigrizia ed energia. Amore e passione.

Un mondo forse destinato a cambiare, ma in cui io, sinceramente, voglio restare.


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