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Vivir dias mejores


Si chiama Karen, ma per tutti è “Galle”, per via delle origini galiziane della famiglia. La pronuncia, manco a dirlo, è quella dello spagnolo rioplatense. Ogni doppia “l” - ma pure la “y” - si trasforma in una “g” strusciata, restituendo un suono più dolce alle orecchie di chi ascolta.

Galle rinfocola le mie ansie da viaggiatore prossimo alla fine del tragitto. Il tempo, a lungo considerato distrattamente, si sta restringendo a vista d'occhio.

“Il salar de Uyuni non puoi perdertelo”, sentenzia mentre il bus procede indisturbato tra campi di mais sorvegliati da un cielo grigio.

Galle, però, non si è goduta molto il Salar. “Colpa dei boliviani”, mi dice. “Trattano male gli argentini, e noi facciamo lo stesso con loro”.

Di nuovo diffidenza reciproca, che spesso si traduce in vera e propria insofferenza. Non è la prima volta che mi capita di ascoltare certi discorsi, e sono da troppo tempo in questo continente per liquidare tutto ciò come una semplice e innocua rivalità tra vicini di casa. D’altronde, le avvisaglie si erano presentate già all’inizio del viaggio, quando i colombiani mi descrivevano gli argentini come gente diversa. “ Noi non gli vogliamo male, sono loro che si sentono superiori”, mi dicevano a novembre dell’anno scorso.


Qualche giorno fa dei cileni ci hanno caricato in auto e, davanti alla possibilità di essere sottoposti a un controllo della polizia argentina, hanno esclamato: “Nel dubbio, diremo che siamo italiani. Di sicuro, ci tratteranno molto meglio”. E giù di risate sguaiate, quelle che si fanno senza pensare.

Quando mi è capitato di decantare le qualità di un’Europa che, nonostante tutto, appare decisamente unita se vista da questa parte di mondo, chi avevo di fronte è rimasto incredulo e disorientato.

"Davvero per andare in Francia non hai bisogno del passaporto?" mi hanno chiesto camionisti e turisti poco dopo essere sottoposti al solito, laborioso controllo della dogana.

E quando ho accennato circa l’opportunità di creare una moneta unica per tutto il LatinoAmérica sono stato interrotto ancora prima che finissi la domanda. Impossibile, mi hanno detto, ci sono troppi interessi particolari.

Disillusi, immalinconiti e sulla via della resa. Sembra che la determinazione, da queste parti, sia solo orientata verso la fuga. A tutti piacerebbe vivere in un altro paese, e quasi sempre la voglia di andare via è dettata dal denaro. Sono tutti attratti da uno stipendio dignitoso: difficile, se non impossibile, essere in disaccordo con chi, anziché vivere, sopravvive.

Ma possibile che sia tutto un problema economico? Forse, e ogni volta che si ritirano contanti in Argentina la tesi si rafforza. Il taglio più grande è di 1000 pesos. Cambio alla mano, sono circa tre euro. Sarebbe pure qualcosina di più, ma uno degli effetti di questa inflazione dissennata è stato - anche - la nascita di un doppio tasso di conversione. Uno ufficiale, a dare una parvenza di dignità alla moneta locale e ingannare turisti distratti. L'altro, più conveniente per gli stranieri, si chiama “blu”. Come se, nonostante il suo carattere abusivo, solo al secondo sia concesso un certo rango di nobiltà.

Roba complicata, roba che più volte mi è stata descritta dagli stessi argentini “una locura”. Ma c’è qualcosa di meno intuibile, che va oltre i problemi, assai concreti, delle tasche della gente, quasi sempre vuote.


L’ossessione per i propri confini, ad esempio. Guai a dire la parola “Falklands”, in Argentina. Non importa che si sia trattata di una guerra persa malamente, condotta da un regime militare folle, responsabile della morte di oltre seicento soldati, tra cui molti ragazzi del servizio di leva. I cartelli con scritto “Las Malvinas son Argentinas” sono ovunque. Qualche giorno fa, mentre ero in viaggio sul bus, mi sono imbattuto in una rete wifi che si chiamava così. Addirittura, ho scoperto che Ushuaia è stata proclamata la sedicente capitale di questo arcipelago, sicuramente parte - geograficamente - dell’Argentina, ma da più di duecento anni controllato dalla Gran Bretagna. Con i suoi abitanti - pastori discendenti perlopiù da famiglie scozzesi - che hanno più volte manifestato la fedeltà al Regno di Albione.

Ma, la gente, ha davvero a cuore certi argomenti? Forse no ma, alla fine, la propaganda fa i suoi frutti. Ed ecco che, tra un sorrisino e l’altro, più di un argentino ammette un certo rancore verso i vicini cileni. Colpevoli di aver appoggiato gli inglesi nella guerra del 1982. E, più recentemente, di aver vinto ben due coppe America contro Messi e compagni.

Poi ci sono le file. Ci si mette in coda per qualunque cosa: mandare un pacco, comprare un biglietto del bus, ritirare denaro. Quando ho chiesto a una signora perché non poteva pagare luce e gas tramite internet lei mi ha risposto lapidaria “perché non mi fido”. E allora tutti a trascorrere mattinate intere in uffici sovraffollati. Scene che, ai tempi del Covid, devono essere state uno straordinario volano per la diffusione della malattia. E che tuttora sono causa di qualche lamento, in realtà soffuso e comunque pronunciato con il solito sorriso rassegnato sul volto.

Ormai prossimo all’arrivo a Chapadmalal, piccola colonia estiva dove trascorrerò qualche giorno prima di buttarmi nel caos della capitale, assisto a una bella chiacchierata tra l’autista del bus e un amico. Dico che è bella anche se sento ben poco di quello che si dicono i due. Mi basta il loro gesticolare, così familiare al mio - e forse pure al loro - essere italiano. Sono sufficienti le pacche sulle spalle, il cercarsi e toccarsi in continuazione. Prima che l’amico scenda alla fermata, noto la scritta che ha sulla borsa.

Vivir días mejores.

Sembra un auspicio, ma è lo slogan di una casa farmaceutica. Straniera, ovviamente.



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