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  • Immagine del redattoreAlitaki

Un anno fa

Aggiornamento: 21 lug 2021


Oltre una ringhiera arrugginita, a ridosso di alcune rocce che affiorano in mezzo all'erba. Davanti solo Genova sdraiata e bellissima, un groviglio fitto di case senza alcun senso che si dissolve in una sconfinata distesa blu. Era lì, da un colle sopra casa mia, che doveva partire il giro. Avrei raggiunto il porto a piedi, in una lenta discesa verso il traghetto. Ma, una volta giunto il giorno fatidico, avevo lasciato perdere, d'altronde non si può sempre fare tutto secondo i piani. Così al terminal ero andato in macchina, accompagnato dall'unica persona che avrei voluto al mio fianco. Mio fratello è stato il compagno di giochi per tutta la quarantena dell'anno scorso, quella delle conferenze stampa di Conte e della gente che cantava dal balcone. In quei due mesi ho fatto più di quanto sia stato in grado di fare per anni. Ho scritto, prima di tutto. Un racconto al giorno. Ho guardato tanti di quei film da perdere il conto, ho affrontato piccole e grandi ferite che mi porto dentro. Ogni mattina mi sono ripreso dal poggiolo di casa, a leggere storie piene di speranza.

Poi, sono partito.

Ho capito che stava succedendo davvero sul ponte della nave. Eravamo ancora ormeggiati, tirava una brezza fresca, così lontana dall'afa di questi giorni. Correvo da un lato all'altro e intanto filmavo, guardavo e sorridevo.

La foto me l'ha fatta un signore intento ad accompagnare la camminata impacciata del figlio. Credo di averla postata dopo pochi minuti, avevo così bisogno di dire a tutti che lo stavo facendo sul serio. La Lanterna se n'è andata via più fretta del solito ed io non l'ho guardata così attentamente. Ero troppo preso dal mare che si faceva sempre più scuro, dall'immaginarmi l'approdo del giorno dopo, in quella terra aspra e che profuma come nessun altro luogo nel mondo.

Un anno fa partivo per un viaggio di cui, ancora oggi, stento a cogliere la grandezza. Quasi quattro mesi in giro per l'Italia. Un numero imprecisato di albe viste dalla mia tenda, decine di treni presi al volo con uno zainone, il mio, di cui non ho mai sentito il peso. Il rosso così profondo dei pomodori in Sicilia, Roma e i suoi silenzi irreali in una notte d'agosto, un lago tra i monti e i cervi abruzzesi e la neve, magica e inaspettata, a metà settembre. E che dire delle persone incontrate, di vecchi compagni di cammino ritrovati e di nuovi conosciuti lungo la strada. Giusto qualche giorno fa mi ha chiamato il signor Nino, un eclettico artista del bronzo e della creta conosciuto in un paese della Basilicata. «Matteo, io ti aspetto ancora per cena», mi ha detto per ricordarmi un invito fatto al momento di salutarci.

L'Italia che Gira - i diritti d'autore spettano a Giulia, mancata stella romana e che spero presto di conoscere e ringraziare - è stato ciò che più si avvicina al mio modo di essere. Ho percorso strade e sentieri, ho incontrato e persino intervistato persone. Ho raccontato, ascoltato e scritto storie. Certo, a pensarci col senno di poi avrei potuto fare un po' meno e un po' meglio, ma andateci voi a dirlo al bambino felice di un anno fa, per il quale la stanchezza era solo un'insignificante divagazione.

Qualche tempo dopo il mio rientro, in uno di quei bar veraci nei vicoli, un caro amico mi ha detto: «Belin, Matte: ma ti rendi conto di quello che hai fatto? Ti sei visto l'Italia! Ma non un pezzo, TUTTA quanta! E le persone che hai messo in contatto, la rete che hai costruito. Ma, dico io, ci pensi a quello che hai fatto?». Ho abbassato gli occhi, senza rispondere.

Nei mesi successivi sono stato inevitabilmente risucchiato nel vortice di altre emozioni, idee, progetti. Mi sono innamorato ancora di Genova, questa volta da una prospettiva tutta diversa, in una verde campagna affacciata sul mare. Ho scritto un libro dedicandolo a un vecchio amico, a cui penso ogni volta che mi perdo nei carruggi. Ma quando qualcuno mi chiede se penso di portare avanti l'esperienza de L'Italia che Gira scrollo le spalle, lo sguardo si abbassa un'altra volta e divento un po' triste.

Scrivere è un buon punto di partenza. Mentre le dita ticchettano sulla tastiera mi sembra di riabbracciare quell'inestricabile intruglio di felicità, spensieratezza e gratitudine.

Mi fermo, rileggo e sorrido. Continuo a scrivere.

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