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  • Immagine del redattoreAlitaki

Papà Franco, Amico Claudio


“Non so quando né come, ma vi verrò a trovare”.

Credo che la promessa sia stata fatta in una sera fresca a Santiago, con un tavolo imbandito di tutto punto e un pizzico di nostalgia già sospeso nell’aria. Franco era a capotavola, aveva bevuto un pochetto e rideva, rideva felice e gli occhi, di per sé già stretti, si facevano piccoli piccoli. Parlava con passione, come sempre del resto, di Gesù Cristo e Berlinguer. E io l’ascoltavo rapito.

Claudio invece era rimasto perlopiù in silenzio, quella sera a O’Cebreiro. Spesso la gente di cuore non ha bisogno di parole per parlare davvero. Nel punto più in alto toccato dal cammino guardavamo un tramonto denso e avvolgente, era la prima volta che ci trovavamo davanti al cielo della Galizia. Il mare era ancora lontano da venire, ma io già lo sentivo nell’aria. Con Claudio si rifletteva su come da piccoli tutto fosse più semplice e bello. In primis, la vita. Da piccoli sapevamo cosa ci piaceva davvero. Sapevamo sbalordirci davanti alle meraviglie del quotidiano, come davanti a un tramonto di metà maggio a O’Cebreiro.

A Franco e Claudio l’avevo promesso, e pur non sapendo né come né dove sapevo che sarebbe stato magico, anzi unico, proprio come il nostro Cammino. E’ successo a Otranto, in un pomeriggio che lentamente si tramutava in serata. La luce del Sud nei pomeriggi d’estate. E’ lenta, dolce, ti abbraccia come la mamma. Come papà, come un amico. Come tutto quanto insieme, come Franco e Claudio. Li vedo finalmente da dietro a una rotonda, gli occhi di Franco sono gli stessi quella sera, ma mica ha bevuto, è felice! Claudio sorride, sorride tanto e lo vedo nonostante gli occhiali da sole. Più che un abbraccio è un agguantare, uno stringere forte e non volere lasciare. Non finisce mai, come la luce del sud. Che non si spiega o racconta più di tanto, la luce dovete vederla. Come avreste dovuto vederci, noi amici di cammino ritrovati stasera, in una rotonda all'ingresso di Otranto. In macchina il parlare è alternato a un silenzio emozionato, specie da parte mia. Nel frattempo arriviamo alla fine della penisola, qui lo chiamano il Capo, qui è dove ha inizio il nostro ritrovarsi.

Il mare è liscio, lento come il sole che ancora non è tramontato. Ora il mare si vede, vorrei dire a Claudio ripensando al Cebreiro. Poi mi portano a vedere un albero, il più antico del Salento. Secolo XII, dice una targa incrostata. In un gesto intravedo tutto l’amore per questa terra. Quando ci fermiamo la seconda volta è quasi sotto casa loro, a Gagliano del Capo.

“Ragazzi aspettate, facciamo una foto?” Gli chiedo. “Ma venite vicini che sennò non ci stiamo”.

Ecco, abbracciatemi, abbracciamoci forte. E stiamo ancora un poco così, che stiamo bene.

Che bello essere qui, papà Franco e amico Claudio.

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