Alitaki
Odore di Sardegna e serenità

Più che un viaggio in pullman quella di stanotte è stata una lunga, incessante centrifuga. A Lisbona oltre ai miei interrogativi ho lasciato i miei occhiali da sole, il secondo paio che perdo nel giro di due mesi. Quando siamo partiti intorno all'una di notte ero un concentrato di nervosismo e stanchezza, e per fortuna che la seconda ha preso presto il sopravvento. Dopo un'ora però è cambiato tutto: la tanto cara autostrada è stata lasciata per sempre, in cambio di una stretta, buia e a volte dissestata strada statale. Ma il peggio è stato scoprire la grande passione degli ingegneri portoghesi per le rotonde. Almeno quattro per entrare in un paese e altrettante per uscirne, e considerato che non ci siamo persi nemmeno un centro abitato dell'Algarve ecco perché io e il mio sfortunato compagno di sedile sembravamo più due calzini spaiati in preda a un lavaggio intensivo che due ignari viaggiatori. All'ennesima rotonda e conseguente maxi virata del bus abbiamo capito che di riposare non era cosa. Anzi, il povero mi ha chiesto se volevo ascoltare un po' della sua musica e spero di non averlo offeso quando gli ho detto di non essere così portato per la musica leggera algerina. Sono sceso a Faro prima delle cinque, con la speranza di poter riposare ancora un poco al terminal dei bus, come pure avevo fatto a Lisbona. Invece niente, porte sbarrate e tutta l'umidità della notte nell'aria, io con i piedi ancora bagnati della pioggia del giorno prima a Lisbona e con addosso un paio di calzoncini corti. Non doveva fare caldo da queste parti? Ho quindi iniziato a vagare per una città deserta, fatta di una pietra levigata giallognola, come ho potuto poi vedere con la luce del sole. Ebbene, nonostante la stanchezza, la fame, la nausea per il viaggio appena concluso a Faro mi è successa una cosa molto bella. O meglio questa cosa bella è venuta da me. Più precisamente si tratta di un odore che sa di terra arsa dal sole, di arbusto selvaggio, di acqua salata, di polvere e di.. Sardegna. Si, nelle Algarve c'è un forte, fortissimo odore di quell'isola che, specie durante la mia infanzia, ha coinciso con le vacanze più belle. Oggi quest'odore mi ha fatto avere flashback così forti da dovermi fermare un secondo per poterli (e doverli) vivere a pieno per poi farli passare. A camminare su una passerella di legno su un'isola di fronte a Faro mi sembrava di essere tornato ad avere cinque, sei anni. Villaggio Club med di Caprera, mio padre mi porta per mano sotto una pineta, stiamo andando a mangiare dopo una mattinata di mare. Il mio primo giorno nell'Algarve è stato tutto così, una dolcissima nostalgia. Forse è il destino di quando ci si ritrova in posti che si è tanto desiderato vedere. Sembra di esserci stati, o perlomeno ti ricordano cose già familiari. Come le case bianchissime di Linares, che mi sembrano fatte con quel cartoncino bianco con cui sognavo un giorno di fare tutto un presepe a Natale. Inutile dire che non apprezzo l'anima più dannatamente turistica commerciale di queste parti e ho cercato in tutti i modi di starne alla larga. Dopo aver assistito a una futile lamentela di un turista inglese circa la cilindrata troppo piccola della sua macchina presa a noleggio, avevo però decisamente bisogno di ritrovare il mio equilibrio, e nemmeno l'odore della Sardegna poteva bastare. Per fortuna che al tramonto sono arrivato a Cabo Sao Vicente. Ancora delle rocce alte decine di metri, preludio di un mare spaventoso che li in basso si muove, urla, si alza e si abbassa. Vicino al capo c'è un paesino senza arte né parte, si chiama Sagres e prima ho girato per buoni venti minuti senza trovare uno straccio di centro, sembra tutta un'improvvisazione. Ora scrivo sopra un letto comodo, in una colorata pensione che stasera sarà la mia casa. Sul muro una foto di una ragazza sorridente, con la tavola da surf sotto braccio e una scritta "a felicidade consiste em dar passos na direcçao de si proprio e ver o que se é". Non ne capisco il significato alla lettera ma la interpreto come un dover andare incontro a sé stessi per essere felici. Cerco qualche informazione sull'autore, José Saramago, unico premio Nobel portoghese per la letteratura. Mi imbatto in una sua intervista "Mi lascia indifferente il concetto di felicità, ritengo più importanti serenità e armonia. Il concetto di felicità presuppone che uno sia contentissimo, che se ne vada in giro ridendo, abbracciando tutti, dicendo sono felice, che meraviglia. È chiaro che anche un mal di denti gli toglierà la gioia e, quindi, la felicità. Penso che la serenità sia una cosa diversa. La serenità ha molto dell’accettazione, ma include anche un certo autoriconoscimento dei propri limiti. Vivere in armonia non significa non avere conflitti, ma poter convivere con gli stessi serenamente. Non voglio elevarmi per esempio, ma io vivo in armonia con l’ambiente." L'odore della Sardegna, un'infanzia così felice ma lontana, i tanti pensieri di quando diventiamo grandi e che finiscono per corromperci. L'affannosa, costante, legittima, sacrosanta ricerca della felicità, anzi serenità. Gli slanci, le cadute. La voglia di continuare ad andarci incontro. Devo assolutamente conoscere meglio questo Saramago.