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  • Immagine del redattoreAlitaki

Non c'è spazio per la nostalgia


Michele al posto degli occhi ha due schegge di luce. Parla con voce calma, delle volte sembra fermarsi, poi riprende con la stessa dolce lentezza.

«Qui è così bello perché l'uomo non ha fatto troppi danni». Mi viene in mente un pezzo di Cognetti letto qualche tempo fa. Spiega che per fare una pista da sci bisogna rasare una montagna. Prima si estirpano gli alberi, poi si fanno gli zoccoletti con il cemento, lì dove d'autunno si butteranno centinaia di litri d'acqua per preparare la base ghiacciata. Amo sciare, ma è difficile dare torto a Cognetti. E a Michele. Gli chiedo cosa sono le forcelle, lui avvicina le dita delle mani come per fare una strettoia. «Piccoli passaggi tra le rocce», spiega.

In questi giorni avrei voluto scrivere del viaggio di un anno fa. Di questi tempi ero impegnato in un'altra camminata, lungo la Sardegna ispida e brulla del Supramonte. Anche lì ero andato in cima a una montagna, dove la roccia si apre in un grande cratere. Dentro, in un'ombra fresca e misteriosa, si cela il preistorico abitato di Tiscali. Anche quella è presenza dell'uomo, ma così lontana dalle piste da sci di cui parla Michele. Oggi non c'è spazio per la nostalgia. Se mai si tira il fiato in più di un'occasione, con uno zaino come al solito troppo pesante. Se ne è accorta anche la signora del rifugio dove dormiremo stanotte. «E tu che ci fai col computer?", mi chiede sorpresa. «Scrivo», ho risposto quasi scusandomi. Lei vorrebbe attaccare bottone: si capisce, siamo ancora in bassa stagione e non ha molta compagnia, se non un labrador mansueto che mi guarda con occhi interdetti. Vuole giocare. Ma ora non posso, mi spiace. Devo, o semplicemente voglio, fissare il momento vissuto poco fa, a guardare rocce grigiastre illuminate da un sole che qui è già morto da un pezzo. Davanti c'è un altro prato verde, l'ennesimo, trapuntato da fiori gialli. Sono andato in cima a questo colle per meditare anche se, all'inizio, quasi mi sentivo uno scemo. Ho inspirato usando il diaframma, come mi hanno insegnato. Ho ascoltato il mio fiato. Poi mi sono accorto di tre sparuti alberelli. Quello al centro è più verde e rigoglioso, gli altri sembrano fargli da cornice. D'istinto ripenso ai tre personaggi del mio libro, quello per cui ho lavorato tutto l'inverno, il libro che mi accompagna da dieci anni. Stamattina, prima di mettermi in cammino, ho ricevuto una mail. Ci spiace, il tuo scritto non è in finale. Pazienza, lo sapevo già. Riguardo gli alberi, non penso più alla giornata di oggi, né tantomeno alla Sardegna o al mio libro. Più in su le forcelle tra le montagne indicano angusti passaggi, pertugi, speranze. Più in basso canaloni stretti e profondi sono venati da strisce di neve. Il cielo è in balia di densi nuvoloni bianchi. Ora il vento si fa più forte, scuote le fronde degli alberi.


È un sibilare leggero e profondo, come Michele e i suoi occhi.

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