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  • Immagine del redattoreAlitaki

Napule è 'na cammenata

Aggiornamento: 29 lug 2020


Ho un grosso difetto: non so stare. La mia proverbiale euforia dinanzi alla novità fa sì che sia costantemente alla ricerca del dopo, senza soffermarmi il tempo dovuto su ciò che mi trovo davanti al naso. Fortunatamente, col passare degli anni, tutto questo sta lentamente cambiando.


Oggi a Napoli non ci sarei nemmeno dovuto rimanere, in fondo che senso aveva trascorrere un’altra giornata in un posto che credevo di conoscere abbastanza bene. A Napoli ci ero venuto parecchie volte per lavoro, e se è vero che non sempre la trasferta coincideva con una perlustrazione della città è anche assodato che, quando potevo, ho sempre cercato di esplorarla con i miei ritmi sostenuti, giusto per usare un eufemismo. Ricordo con piacere le passeggiate serali in solitaria dall’hotel, solitamente non lontano dal Maschio Angioino, fino a Piazza Plebiscito, e poi giù ancora verso il lungomare. O di quando, insieme a dei colleghi, avevamo fatto una sorpresa a un amico e ci siamo presentati al battesimo del figlio dopo un viaggio interminabile in auto. Con la gioia che straripava dagli occhi Fabrizio ci aveva portato a Spaccanapoli, a San Gregorio Armeno, a vedere il Cristo Velato e tanti altri luoghi imperdibili della capitale - perché Napoli non è solo capoluogo - partenopea.

Oggi, però, mi sono reso conto che io non solo Napoli non la conoscevo per niente. Ma nemmeno l’avevo capita.

“Vai al Rione Sanità”. Mi ha detto stamane una signora che a Napoli ci vive e ci è nata. Sono sincero, a sentire il nome della zona ho avuto qualche reminiscenza sfocata su fatti di cronaca non certo edificanti. “Se vuoi vedere la vera Napoli devi andarci!” E poi, con un sorriso di chi la sa lunga, ha aggiunto: “E’ pure dove è nato Totò”.

Non ho avuto dubbi, l’alternativa sarebbe stata girovagare per il lungomare, poi forse salire a Posillipo, insomma cose già note. Così sono andato al rione Sanità. A ritmo lento, ovviamente a piedi, la meta doveva essere la Basilica dell’Incoronata Madre di Buon Consiglio, dove ci sono le catacombe di San Gennaro. Poi però ho visto qualcosa. In una strada perpendicolare alla principale c’erano i versi di Pino Daniele appesi tra i palazzi. Le persone sgomitavano in una piazzetta in mezzo alle bancarelle più disparate. Ai balconi c’erano tante lenzuola. Le lenzuola sono ovunque a Napoli. E quando le vedi muoversi per via della brezza in una giornata di caldo opprimente danno speranza. C’era la gente e la strada. La gente è sempre in strada a Napoli! Per via delle misure anticovid si era formato un capannello davanti a un minimarket. Il marciapiede non era percorribile, dovevi per forza passare in mezzo alla strada, dove sfrecciano gli scooter, che ti suonano il clacson non per intimidirti ma per avvertirti: sto passando. Così ho lasciato perdere la meta iniziale e ho iniziato a percorrere vicoli maleodoranti, scalette malconce e stendini che profumano di lavanda. Ho visto un signore calvo, bellissimo. Con un’abbronzatura uniforme e decisa, gli occhi verdi che scintillavano all’ombra. Parlava in napoletano al cellulare, aveva un’espressione divertita e quando finalmente ha sorriso ha svelato dei denti di un bianco fulgido.

Sono passato davanti a una casa al piano terra, la finestra era spalancata. Dentro c’era una coppia, presumibilmente marito e moglie, intenti a cucire e tagliare una stoffa rosso porpora. Poco più in là è uscito un ragazzo dal cortile di un palazzo. Aveva lo sguardo stanco, i jeans sgualciti. Ha mormorato qualcosa tra sé e sé, non sono riuscito a capire. Si è soffermato qualche istante a guardare lungo la strada, prima da una parte e poi dall’altra, come se dovesse attraversare, ma non l’ha fatto. E’ tornato da dove veniva.

A Napoli non ti puoi distrarre un momento, e non per via dell’incolumità personale. Semplicemente, se lo fai rischi di non capire quel poco che ti sembrava di avere afferrato. Se ti perdi un volto, un palazzo, una strada sbilenca simile a tante altre ma mai uguale, devi iniziare da capo.

“Signora, la casa di Totò è questa?”

Lei, con una mano sul fianco e l’altra appoggiata al muro si è messa a gridare.

“Pasquale, Pasquale! Totò!”

E’ arrivato un signore gentile, mi ha accompagnato al primo piano, davanti alla porta, chiusa, della casa dove nacque Totò. E’ di legno grezzo e spesso.

“L’hai fatta la foto?” Mi chiede la signora un po’ minacciosa quando torno in strada.

“Certo”, dico io.

“Bravo!” Mi saluta compiaciuta.

Poi senza accorgermene sono finito nei Quartieri Spagnoli. Ho camminato lungo una via fasciata di striscioni azzurri, tutti con la N del Napoli e una scritta a caratteri cubitali: abbiamo un sogno nel cuore. Sul muro di una casa Maradona è raffigurato come un santo, e forse lo è. In una strada in salita poco più in là ci sono dei murales, belli e colorati, raffiguranti Totò, sempre lui, in ogni forma ed espressione. Questa città non dimentica, e a controprova ci sono mille edicole votive, dove spesso sotto la Madonna c’è una fotografia ritraente un ragazzo, giovane e sorridente.

Quando poi dovevo tornare verso la stazione, sono invece andato verso il mare. Nella Napoli che conosco, quella di Chiaia, del lungomare e di Castel dell’Ovo. Ma, prima, mi sono concesso l’ultima scoperta della giornata. La zona di Pallonetto, dove riecco i palazzi sbilenchi, l’ombra sulle strade e le canzoni neomelodiche che risuonano da qualsiasi piano di qualsiasi palazzo. Trovandosi a pochi metri dal mare, a Pallonetto si respira una vaga atmosfera da borgo marinaio.

Forse è così che bisogna fare per conoscere Napoli. Scendere prima nelle sue viscere e poi, solo poi, arrivare nella parte più appariscente, quella che si mostra con maggiore facilità agli occhi di chi in questa città non ci è nato e non la vive tutti i giorni. Napoli e le sue contraddizioni, i problemi infiniti, il traffico opprimente. Napoli e la speranza, l’allegria di una signora che sorride al balcone parlando alla vicina. Napoli è Umanità, in ogni dove.


Napoli, come diceva Pino Daniele, è tutta un sogno, la conosce tutto il mondo ma non sanno la verità.


Napoli è una passeggiata, tra i vicoli, in mezzo agli altri.


P.s. I versi originali sono ovviamente in napoletano e si presentano nell'ordine inverso:

Napule è na' camminata Int'e viche miezo all'ate Napule è tutto nu suonno E a' sape tutto o' munno Ma nun sanno a' verità 

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