Alitaki
La terra che splende

Si passeggiava, a Grado.
Da queste parti hanno una fortuna tremenda, quella di vedere il sole che si spegne sul mare. Non era però ancora l’ora del tramonto, ancora non potevamo sapere se le onde si sarebbero tinte di oro o se lui, il sole, se ne sarebbe andato a morire dietro a una nuvola spenta. Sta di fatto che io mi sono voltato verso gli altri. Mi è venuto d’istinto: avete gli occhi che brillano, siete bellissimi, gli ho detto. Loro mi hanno risposto con un sorriso imbarazzato, come quando qualcuno ti dice una cosa fuori luogo e non sai bene come e se rispondere.
La luce, sempre la luce. Ai laghi di Fusine siamo arrivati che era già tutto all’ombra, e solo le rocce di alte montagne al di sopra di noi godevano dell’ultimo sole. Subito ci siamo rimasti un po’ male, anche perché avevamo appena pagato quattro euro di parcheggio per uno spettacolo ormai terminato. Ma è bastato fermarsi un pochino e guardare meglio l’acqua. Scoprirne la trasparenza e rimanere incantati a contemplare quella che sembrava una patina di cristallo, capace di riflettere pini, cielo, rocce, montagne. Dopo un po’ ho tirato un sasso, nel lago si sono formati tanti cerchi concentrici di una perfezione che nessuna mano riuscirebbe a replicare. Con naturale lentezza i cerchi si allargavano, e andavano a increspare la superficie riflessa. Gli alberi che vi si specchiavano sembravano muoversi, come mossi da una brezza autunnale. Faceva fresco, se non freddo. Ma a vedere, anzi a guardare l’acqua di quel lago non me ne sarei mai andato via.
Come questa sera a Udine. In via del Mercato Vecchio ci sono voluto tornare un’altra volta, prima di andare a dormire. Tutti quei palazzi antichi e con le facciate pulite, le finestre lunghe e geometriche, affacciate su una strada fatta di ciottoli grandi e rettangolari. Una strada grande, larga otto metri, se non di più. Ad una delle estremità si trova un loggiato il cui pavimento sembra quello di un palazzo imperiale. Il marmo è lucido, brillante e se fosse partito un valzer mi sarei messo a ballare.
Non me ne volevo nemmeno andare oggi, a pranzo, quando mi sono ritrovato alla mensa del pellegrino. Si trova sull’isola di Barbana, nella laguna di Grado, c’è una chiesa che profuma di incenso e la fede se non la provi perlomeno la senti, la avverti.
Con Lucy, Francesco e Susan si parlava di speranze e possibilità, proprio come i quattro amici al bar di Gino Paoli che, chi l’avrebbe mai detto, è nato non lontano da queste parti. Si parlava, in particolare, di come delle volte la vita sia dura, specie quando per un motivo o per un altro ci si ritrova da soli. Di come la tavola apparecchiata per una persona possa fare tristezza. Ed è lì che scatta la molla per un altro inizio, fatto di una solitudine finalmente consapevole e pertanto non più sofferta. La solitudine che, come diceva De André, porta alle più alte forme di libertà. La solitudine di chi è in cammino, ce n’è uno che ho scoperto in questi giorni, parte proprio da quell’isolotto della laguna di Grado e arriva lassù, in un posto magico. Si chiama Monte Lussari e ci sono andato ieri pomeriggio, dopo due ore di salita dura e ininterrotta. Poi giunge la gioia di una palizzata di legno che costeggia un prato verdissimo. La stanca felicità di chi si gode il meritato riposo, mangiando un panino mentre lo sguardo si perde su montagne aspre, severe, immense. Nel raccontare di questi posti, ieri ho detto a mia mamma che avevo gli occhi che brillavano. Io i miei non ho potuto vederli ma poco importa, li ho avvertiti. Dinanzi alla montagna, così come il giorno prima quando il cielo azzurro di Trieste sfiorava l’Adriatico e mi sentivo bene, col viso sferzato da un vento inquieto, a prendere il sole sdraiato sopra il Molo Audace. Questa terra, il Friuli Venezia Giulia, è stato come il Molise e, ancora prima, la Basilicata. Come quei film di cui conosci già la trama, ma che a riguardarli per bene scopri tanti piccoli dettagli che ti erano sfuggiti, e capisci che sono quelli che fanno la differenza. La differenza, in un paese che adesso posso dire davvero di amare, la fanno queste terre. Perché, ammettiamolo, quanti direbbero vado a farmi un giro in Friuli anziché andare in Toscana, o in Costiera Amalfitana, o sulle Dolomiti. Quanti sanno che a Grado il sole tramonta sul mare e quando sembra offuscato dalle nuvole a volte spunta lo stesso, lacera un cielo già scuro e i suoi raggi sanguinano sull’Adriatico. Quanti sanno che in dialetto gradese le onde si chiamano lame.
Conviene, conviene eccome fare lo sforzo. Conviene, come si diceva sempre quest’oggi, fare delle scelte un po’ controcorrente, delle volte.
Sul lungomare di Grado, poco dopo che ho visto gli occhi degli altri brillare, c’era una targa dedicata a Pierpaolo Pasolini. Ho pensato a una sua frase, così perfetta per questa giornata, così calzante per questa regione.
Ti insegneranno a non splendere. E tu, invece, splendi.