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  • Immagine del redattoreAlitaki

Il nostro piccolo Everest



Che poi non è tanto quando ti svegli la mattina, lì pensi che l'hai voluto te, mica te l’ha detto il medico. E nemmeno quando la mamma risponde al selfie delle 6 e mezzo con un bel: torna indietro che fa freddo!! Anzi, lì ti carichi un botto, e pensi che il motivational coach ce l’hai in casa. No, il momento peggiore è quando parcheggi la macchina - nel mio caso si tratta del fedele SH - e rimani per un attimo a fissare i fari spenti. Ti guardano, i bastardi, e hanno quella faccia un po' così, che non è quella di chi viene a Genova ma di un diavolo tentatore che sibila: dai, andiamocene al calduccio.

E invece no, un sorso di the caldo ormai freddo, e via, nel buio della notte che non vuole saperne di diventare mattina. Mi perdo quasi subito, cristando tra rovi alti quanto Michael Jordan e tronchi nascosti nel fogliame, più infidi dei soldati fantasma giapponesi. Sconsolato, busso a una casa che sembra quella di Heidi, è in fondo a un grande prato verde. Ad aprirmi non c’è il nonno cattivo ma un’arzilla vecchina che poveretta, mi guarda come se fossi un serial killer (e in effetti tra passamontagna e cappello sembravo pronto all'assalto del portavalori). A proposito signora, lei è stata gentilissima, però sappia che io sto ancora cercando la Madonnina, quella che "quando la vedi nan non ti puoi sbagliare, subito a destra inizia il sentiero" Eh, appunto.

Vabbè, ad ogni modo il sentiero lo trovo, con delle simpatiche roccette a darmi il benvenuto (su internet diceva proprio così, simpatiche roccette. A me sembrava di essere sulla parete nord del Mattehorn.) Poi però me la rido felice perché c’è pure un po' di neve! (ah, dite che era ghiaccio? Vabbè ma che palle sempre i soliti…)

La strada sale su, ripida, a volte perdo le tacche, sbuffo, torno indietro, le ritrovo. Ogni tanto mi chiedo dove possa passare la striscia di ghiaia che poco più avanti vedo interrompersi, eppure alla fine c’è sempre un piccolo passaggio, un minuscolo pertugio. Ed eccomi sulla vetta di Punta Martin. Oh, intendiamoci, niente di che, non sono mica Reinhold Messner, però la vista non è affatto male. C’è il mare, azzurro e bagnato da un sole che sembra oro. Tanto vento, che profuma di un’aria buona, le Alpi in lontananza cariche di neve. Il porto di Genova e le sue gru, a un migliaio di metri più sotto. Ci sono io, solo io (anche se il mio fedele e giallo compagno di cordata avrebbe da ridire a riguardo). Poco dopo mi fermo a un bivacco splendidamente ristrutturato, sarà lo spirito natalizio ma sembra davvero la capanna di un presepio. Dentro c'è appeso un quadretto che ricorda un socio del CAI di Genova. Poco prima di morire aveva scritto qualcosa che suona più o meno così: “Fidatevi di un giovane quasi novantenne, che ogni volta che vede la cima di Punta Martin pensa di essere arrivato sul suo Everest.”

Hai capito il giovane.

Mi sarebbe piaciuto incontrarlo per sentirglielo dire di persona. Perché la montagna è proprio così, esalta l'uomo senza farlo perdere in sciocchi egoismi o stupide competizioni. Entusiasma nel modo più genuino e semplice, come quando da bambini ci si innamora di tutto (grande Faber). La montagna ti dà sempre un sentiero da percorrere, che non è poco. Sì, è vero, c’è il rischio di perdersi e, ancora prima di partire, ci saranno sempre due fari di un’auto a dirti di tornartene indietro.

In fondo però, nella vita come nella montagna, devi prima di tutto crederci davvero, avere le gambe e la testa pronte a mettersi in marcia. E allora il sentiero sarà li che ti aspetta, a volte poco segnalato, certo non agevole. Ma, per chi riesce a seguirlo, io credo che prima o poi porti lassù, sul nostro piccolo grande Everest.


E ora scusatemi, ma ho una Madonnina da scovare.



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