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  • Immagine del redattoreAlitaki

Il mare in salita

Delle volte il mare può essere in alto.


Come in fondo a una discesa mattonata di rosso, da dove si scorge il muoversi lento di scaglie increspate.

Questa storia Michele la conosceva bene, ma ogni volta era come se fosse la prima. Solo così uno si guadagnava il diritto di andarci vicino, a sentire le onde sul bagnasciuga, vedere l'acqua divenire schiuma e tutto il resto. Avrebbe pure voluto dirlo a Tiziana, ma era convinto che stesse già parlando troppo, e non voleva annoiarla.


Con il mare si ricongiunsero a Nervi, da quegli scogli che anziché fare da contraltare alle onde sembrano accompagnarle. Un pezzo di focaccia e molte parole, era impossibile chiedere qualcosa di più, pensò. E sebbene dentro di sé facesse fatica a mandare via la vergogna, o meglio quel senso di colpa nel riversare sugli altri i propri pensieri, si sentiva sempre più in diritto di farlo. L'abbraccio che Tiziana le aveva dato alla stazione, appena arrivata, non si era ancora sciolto. Continuava nella sua testa tenuta di sbieco, come fanno quelli che ascoltano. Se Tiziana faceva domande era per capire meglio, e quando parlava più che di consigli si trattava di carezze. Come se stessero davanti a un bel fuoco, e lei fosse sempre capace di aggiungere il pezzo di legno migliore.

- È normale che andando per questa strada ti sentirai sempre più solo.

In quel momento Michele aveva stretto gli occhi, come si fa davanti a una verità che non si vuole sentire.

- Ma in realtà non è così – Proseguì - La sofferenza che provi tu, o che provo io, non è di nostra esclusiva. Ma tu pensa: credi che qualcun altro non sia stato male per amore? O non abbia mai provato rabbia? Né felicità?

Se fosse servito per conservare l'essenza di quelle parole, Michele avrebbe volentieri smesso di respirare.

- Non sei solo! E la cosa bella è capire che la sofferenza, così come la gioia, è universale. E sì, capiterà che proverai emozioni nella tua solitudine, e penserai che siano tutte cazzate. Ma la vera cazzata, Michele, è non vedere l'evidenza. Siamo tutti parte di qualcosa di grande, infinito. Che non è solo fuori, ma soprattutto dentro di noi. Perché non importa se uno è alto, magro, bianco o nero. Siamo costruiti allo stesso modo. Ragioniamo, piangiamo, ci tormentiamo nella stessa maniera.

Così Michele aveva sorriso, forse nemmeno sul volto che in quel momento era concentrato sulla strada davanti a sé. Perché nel frattempo avevano lasciato Nervi e si muovevano veloci lungo la strada, e loro si tenevano stretti l'un l'altro, in sella a una motocicletta.

Aveva sorriso da qualche parte e poi ci aveva ripensato la sera. Tiziana era tornata a casa, e lui era al cinema a vedere un documentario su un grande compositore, morto poco tempo prima. Lo colpì, di tutta la storia, la sua passione per cui non aveva mai nutrito dubbi. Tornando a casa, Michele aveva pensato che anche lui, come il compositore, provava un piacere intimo e grande ogni volta che sentiva le dita ticchettare i tasti di un computer. Scrivere. Era questo ciò che gli dava gioia e liberazione. Era questo il lavoro che per lui non era tale, perché se lavoro vuole dire sacrificio e rinuncia, per lui scrivere era l'opposto. Scrivere era sentirsi sulla strada giusta, fare sì che, lentamente, la magia si realizzasse e lui andasse incontro al suo destino.

Ma allora perché è così difficile? Perché, seppure io scriva, non riesco a farlo con molta costanza, pensò il giorno dopo Michele, mentre correva sulle solite strade del paesino dove viveva. Ripensò al giorno prima con Tiziana, alla bellezza eterna del mare in verticale. Poi fu turbato al pensiero delle critiche di gente vicina, di chi gli diceva che non si può vivere di sogni distanti. E che bisogna trovare un lavoro serio. Pensò a tutta l'incomprensione che era sfociata, specie negli ultimi tempi, in rabbia e amarezza. Si era sentito solo, proprio com'era solo in quel momento, a correre in un bosco d'inverno. Dalle cuffie partì una canzone semplice e allegra, di quelle che si ascoltano le sere d'estate. Senza un motivo apparente, le braccia si lanciarono al cielo, e poi verso terra. Iniziò a cantare, ma forse sarebbe meglio dire che urlava. Michele urlava forte e senza ritegno verso chiunque avrebbe potuto sentirlo. In quella danza sudata, festosa e folle era solo. Ma, quando sentì le lacrime solcare il viso, fu come il segnale di una certezza nascosta che gli diceva: tu non sei affatto solo. Lo senti dentro di te? C'è tutto il mondo che balla.

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