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Genti diverse, venute dall'Est

Aggiornamento: 27 dic 2020


"Speak English?" La persona davanti a me muove il palmo della ma<no come a dire così così, poi ci pensa ancora un po' e allora con la testa fa segno di no, nel volto ci leggo un sincero rammarico, lo stesso che provo io. Non sono al primo viaggio all'estero, ma mai come in questi giorni mi accorgo quanto sia brutto non solo farmi capire ma anche comprendere quello che la gente intorno a me si sta dicendo. Chissà se le donne che aspettano il bus si lamentano dei prezzi della verdura al mercato, se i vecchi si salutano parlando del tempo e se i ragazzi all'uscita da scuola fanno la corte alla più bella della classe. Mi piacerebbe capire qualcosa di più, perchè sono convinto che la gente della Georgia ne avrebbe da raccontare. Per esempio mi potrebbe insegnare quanto sia bello passare il tempo chiacchierando tra amici. Della giornata di oggi ho qualche immagine ben precisa impressa nella mente: un pastore appoggiato a un bastone, le gambe storte e che parla con calma serafica a un signore seduto vicino. Tra una battuta e l'altra i due osservano senza espressione il gregge che si muove davanti a loro.

A lato di un incrocio noto parecchi uomini dai volti allegri, sono in piedi a una fermata del bus, e su una panchina in pietra è stato allestito un banchetto. Passa qualche ora quando ripasso nello stesso punto e mi aspetto di non trovarci più nessuno. Invece no, loro sono ancora lì, due si sfidano a una sorta di backgammon con un folto gruppo di spettatori a guardare e commentare. Verso sera siamo su una strada che costeggia una ferrovia, da queste parti è difficile capire se qualcosa è dismesso o ancora funzionante ma insomma i treni ci sono, e li ho visti passare più di una volta. Ebbene, sui binari di questa ferrovia ci sono invece tre persone, ferme. Parlano in tutta tranquillità, proprio come se fossero davanti al baretto sotto casa. Gente curiosa, questi georgiani, che forse non sorride così tanto ma quando lo fa si vede che non è per circostanza, come il guardiano di un hotel poco fa, noi ci aggiravamo per una città fantasma in cerca di un posto dove mettere qualcosa sotto i denti e lui si è prodigato in consigli, felice come una pasqua quando gli abbiamo detto che siamo italiani. Alla fine la nostra cena sono state due focaccine al formaggio dentro a una stazione di servizio, nel tavolo di fronte a noi tre ragazzini giocavano a carte, con espressione contrita da pokerista consumata. Dicono che sia l'ambiente circostante a forgiare il temperamento di un popolo, nelle persone incontrate lungo la strada ci vedo tutta la calma - da non confondere con l'indifferenza - che può trasmettere un paesaggio immenso, aspro e a tratti inospitale come quello visto quest'oggi. La nostra giornata è iniziata infatti in un villaggio semi-abbandonato disperso su un altopiano a pochi chilometri dal confine con l'Azerbaigian, da lì siamo partiti lungo strade polverose dove camionisti indomiti sfrecciavano veloci, mentre noi arrancavamo nelle retroguardie. La visita al monastero di Davit Gareja è stata interrotta dall'incontro con due militari, tuttora non sappiamo se georgiani o azeri, ma che con gentilezza ci hanno fatto capire che il monastero era chiuso, anche se devo riconoscere che non mi sento mai troppo a mio agio a parlare con chi ha un mitra a tracolla. Siamo quindi ridiscesi lungo la regione dei Khaketi, colline morbide piene di vigneti fanno di questa zona una delle eccellenze vinicole nel mondo. Lasciata la strada principale ci siamo ritrovati al cospetto di case che, coi nostri canoni europei, definiremmo più propriamente baracche, oggi però erano tutte baciate da un sole caldo che scioglieva la neve dei giorni scorsi e la faceva gocciolare dalle grondaie. Nei vicoli, quasi sempre in terra battuta, si vedevano bambini giocare, vecchi scrutare l'orizzonte, mentre cartelli in georgiano tradotti in inglese maccheronico segnalavano le onnipresenti wine cellars. Verso le due siamo giunti a Sighnahi, un paese bellissimo. Arrampicato su un colle che si affaccia su un vasto pianoro, lascia intravedere dall'altra parte della vallata i minacciosi e imponenti rilievi del Caucaso. E sì, sarà stato pure turistico il ristorante con terrazza dove abbiamo pranzato ma in fondo chi se ne frega, sono sempre più convinto che essere anticonformista a prescindere sia il più estremo dei conformismi. Nel pomeriggio c'è stato spazio per un lancio nel vuoto a bordo di una carrucola, roba che sognavo di fare da anni e che mi ha fatto gridare un bel po', cosicchè quando sono sceso non ho nemmeno accusato il consueto abbiocco pomeridiano. Poi l'arrivo a Krveli, questa cittadina che non sembra avere un centro vero e proprio, ma solo una piazza con un orribile palazzo dall'aspetto futuristico, e intanto un fuoristrada della polizia gira in continuazione per un viale illuminato da lampioni gialli. La poca gente in giro si raduna davanti a un minimarket, mentre cani dall'aspetto malconcio, il muso triste e le orecchie abbassate guaiscono in lontananza.

Sdraiato sul letto avverto stanchezza, curiosità per ciò che deve ancora venire, e poi tanti altri pensieri, il mio passato più o meno recente, i tanti bivi a cui mi sono trovato davanti negli ultimi tempi e un futuro quantomai incerto. Gente diversa, questi georgiani, ma che no, non mi stanno facendo del male.

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