Alitaki
Come Chopin

Raffaele ha una giacca più azzurra della maglia della nazionale e la parlata allegra, a tratti scanzonata. Dapprima si siede a un tavolo solo, saluta tutti e regala sorrisi a molti. Fa per andarsene, ma è solo per fumarsi una sigaretta. Rientra, si siede con noi. Con la naturalezza della neve che scende ci racconta dell'inverno del 56, quello delle Olimpiadi. Fuori c'era meno sedici e lui portava solo un pullover, altro che giacca azzurra. Con i suoi amici aspettava il bus dai tornanti, si aggrappavano al portabagagli perché sapevano che in quel tratto non avrebbe potuto fermarsi. Quando l'autista faceva per cacciarli, loro erano già arrivati a destinazione. Misurina. Non importa da che parte si guardi, le Dolomiti sono ovunque. Nel mezzo, su un lago ghiacciato, danzavano i pattinatori. Raffaele andava pure dalla pista dei salti, a Cortina. Gli atleti dovevano portarsi gli sci in spalle dopo la prova. Lui si offriva di dare una mano in cambio di una spilla. Giappone, Svezia, Francia, Raffaele elenca i paesi come se sessantacinque anni fossero passati con la dolcezza di una primavera. Otto anni più tardi alle Olimpiadi ci era andato come partecipante, chissà se nel frattempo si era preso una giacca azzurra. Gareggiava nello sci, che all'epoca mica facevano tanti fronzoli tra le varie discipline, tuttalpiù una volta che eri sul posto ti chiedevano in quale fossi più bravo. Raffaele era caduto dopo qualche centinaio di metri, e lo racconta come se fosse una gag, per niente amareggiato, anzi quasi si direbbe divertito. Ci spiega la sua malattia, si chiama mal di Misurina. Nonostante viva a Cortina da sempre non c'è giorno in cui non si spinga quassù, con la sua giacca azzurra a salutare tutti e sorridere a molti. Mi domanda da dove vengo e quando gli dico che sono forestiero mi chiede cosa ci faccio nel tepore stordente di un bar, anziché starmene fuori a godermi lo spettacolo. Poi parla di elezioni comunali, riscaldamento globale e pattinaggio. Fa nuovamente per andarsene, si è già infilato il cappello di lana in testa, è in piedi ma torna lesto a sedersi. Si toglie il cappello. Ha un'altra battuta da fare, un episodio da raccontare. Saluta un'altra volta e dopo qualche minuto pure noi siamo fuori, in un pomeriggio di fine novembre già colmo di buio. Nessuna traccia del lago, nemmeno delle Dolomiti. Raffaele se ne sta seduto su una panchina, forse per vedere il paesaggio lui non ha bisogno di occhi. Nel naso ho l'aria fredda di Misurina, la stessa respirata in tutti questi anni da quell'uomo sereno e che porta una giacca azzurra. L'altoparlante esterno del bar passa un tormentone dell'estate passata. Lui si sfila l'ennesima sigaretta dalla bocca.
Altro che Fedez, dice. Qui ci vorrebbe Chopin.