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  • Immagine del redattoreAlitaki

Chissa dov'è Gigi


«Gigi è scomparso».

Stamattina ti avrei svegliata così.


Ti avrei riversato addosso l’ansia, forse pure un pochino di paura. Certo, prima l’avrei cercato per una mezz’ora buona, come pure ho fatto. Ma poi non ti avrei detto la verità, almeno non subito. Perché io me lo ricordo che ieri, prima di andare a dormire, ho dimenticato la gabbietta aperta. E forse ho pure sentito un rumore, può darsi che sia passato dalla finestra aperta. Sai, le mie manie.

Ti avrei guardata come un bambino guarda la mamma quando succede qualcosa di grosso. Tu, manco a dirlo, avresti capito tutto, io avrei tenuto botta ancora un po’, riuscendo solo a farti innervosire. Poi avremmo rimandato qualsiasi discussione, prima sarebbe stato importante ritrovare Gigi.

È che io non lo volevo, un coniglio. Sì, ho capito che quando tua madre era morta non sapevamo che farne, ma a me non è mai stato simpatico. Anzi, diciamo le cose come stanno, mi faceva proprio paura. Prima di tutto lo sguardo, così palpitante. Per non parlare del modo di muoversi, convulso e frenetico, mi stressavo solo a guardarlo. E i rumori di notte, quando si scontrava contro le pareti di una gabbia minuscola e mi svegliava di soprassalto. Tu no, dormivi sempre tranquilla, abituata al frastuono. Non ti lamentavi mai, se ti accorgevi che ero sveglio ti avvicinavi un pochino, se non era troppo caldo mi abbracciavi pure, e allora passava tutto quanto.

Ti ricordi quella notte in cui mi hai svegliato? Forse tornavi dal bagno, di sicuro era notte fonda. Ero in un sonno confuso. Il giorno dopo sarei dovuto partire per andare lontano.

«Non voglio che tu vada via». Me l’avevi sussurrato piano, come si confida un segreto. Poi ti eri girata dall’altra parte, dopo un sospiro ti eri già riaddormentata.

La mattina dopo mi chiesi se fosse davvero accaduto. I tuoi occhi a ostentare una serenità che non c’era, mentre ti scaldavi le mani con una tazza di té. Avevo capito.

Sto perdendo tempo prezioso, a pensarti mentre siedo a cavalcioni sul letto, e chissà dov’è Gigi.

È che stamattina mi manchi. Come sempre del resto, in questi giorni consumati dal vento che hanno tutti lo stesso colore.

Spesso mi chiedevo come sarebbe stato l’inverno in questa casa, con te. Ci saremmo messi a guardare la pioggia che scende dalla finestra e forma le goccioline sul vetro? No, troppo scontato, tu dicevi sempre che avevi un’anima rock. Allora saremmo andati a passeggiare sulla spiaggia immensa, lunga chilometri. La stessa dove mi avevi portato in un giorno di agosto, c’era il sole e avevi un vestitino azzurro, ti arrivava poco sopra il ginocchio. Cavolo se eri bella. Sì, lo so sono scontato, ma che ci posso fare? Eri proprio bella, bella, bella. Sorridevi e il vento ti faceva alzare la voce, per farti sentire. Mi raccontavi concitata della tua famiglia, o forse del lavoro. Mi spiace, non ero stato poi molto ad ascoltare, impegnato com’ero a innamorarmi.

Ci saremmo andati in quella spiaggia d’inverno, che dici? Poi magari tornando al paese ci saremmo presi un gelato da Francesca e Simone. Anche se tu, fissata come sei con la dieta, non so se avresti accettato. No, niente gelato. Saremmo venuti subito a casa, a ricacciare il vento dietro la porta. Magari giusto una corsa veloce al supermercato, quello davanti alla spiaggia, ci passavi sempre per prendere birra e patatine prima di un film.

Ti ricordi il silenzio che si faceva per sentire il mare? Certo, avessimo potuto tenere aperta la finestra… Ma con te non c’era verso. Coraggio, lo so che ti piaceva sentirlo, si vedeva da come ti irrigidivi nel letto, quasi non respiravi. Beh, se vuoi sapere una cosa, d’inverno l’avremmo sentito senza problemi. Sarebbe stato come in quel posto di cui ti parlavo sempre, nel nord della Corsica. Un ostello costruito sopra una spiaggia piena di ciottoli neri, con la risacca del mare che faceva talmente casino che quando arrivi ti danno i tappi per le orecchie. Sì, proprio dove ti dicevo che saremmo andati la prossima estate.


Ancora un minuto, ti giuro che poi mi metto a cercarlo, Gigi. È che ora mi sono voltato verso la parte del letto dove stai tu. Sei sdraiata, hai un respiro lento. A volte, a guardare le pieghe delle lenzuola, mi sembra di vederci l’impronta che lasciava il tuo corpo, quando ti mettevi rannicchiata da un lato perché non mi volevi parlare. Quando succede, mi metto verso di te, chiudo gli occhi e respiro forte dal naso. Nei primi giorni il cuscino aveva il tuo profumo. Lo so, è una roba patetica, ma a me faceva impazzire. Parlandone con il dottore ho capito che era meglio lasciar perdere, e allora l’ho lavato. Solo che ho lavato tutto il cuscino, sai? Ah, ora sorridi, anzi te la ridi proprio di gusto.

No, sul serio, hai mai visto cosa succede a mettere un cuscino dentro la lavatrice? Hai idea di come si possa gonfiare? Roba che ti ritrovi un airbag dentro l’oblò!

In fondo, l’ultima volta che ti ho vista è stato mentre ridevi. Tutta colpa di quel cappellino che mi mettevo per andare a pescare con Ferdinando. Ho buttato anche quello, a dire il vero l’ho buttato il pomeriggio stesso. Beh, ti ricordi come mi prendevi in giro per la visiera piatta? Dicevi che sembravo uno di quei turisti americani idioti. Non ero proprio riuscito a offendermi, quella mattina. Sarà che pure tu non scherzavi. Avevi dei capelli così arruffati che sembravi una leonessa con la criniera. In pratica una leonessa transgender.

Avevi protestato con un bel luccichio negli occhi. Gli occhi, i tuoi occhi, sempre gli occhi.

Chissà che hanno visto gli occhi quando te ne sei andata. Era già ottobre, ma tu dicevi sempre che le onde più belle sarebbero venute nei mesi a seguire, con l’inverno. Ti ci vedo, con quella muta di un terribile viola shocking, mentre sbracci decisa verso l’onda più grande, aggrappata saldamente alla tavola. Sento quasi il respiro trattenuto mentre ti butti sott’acqua. Poi, non lo so. Che hai fatto poi? Hai gridato quando hai capito di avere sbagliato? Hai avuto paura? Io sarei morto ancora prima del tempo, solo per lo spavento. Ma tu, hai gridato? Si può gridare sott’acqua?

Quando sono arrivato eri sdraiata sulla sabbia, avevi un frammento di una conchiglia ambrata vicino al piede. L’ho vista e ho pure pensato che l’avresti raccolta. Avevi il volto sereno, quasi sembrava che dormissi. Ma tu non dormivi, vero che non dormivi?

Di nuovo le lacrime. Lo so, l’ho promesso un po’ a tutti, di non farlo più. Di lasciarti andare, dicono. L’ho promesso pure a te, te lo dico ogni volta che vado a trovarti in cima alla collina. Che poi perché i cimiteri di mare sono sempre in posti così belli? E dimmi, il mare lo senti, lì sopra? Quasi mi spiace a pensare che c’è tutto quel vento.

Beh, ora si è fatto tardi, e di Gigi nessuna traccia.

Lo sai che farei se fossi ancora un attimo qui? Se solo ti sentissi fare la pipì dietro la porta socchiusa del bagno, se andando in cucina ti trovassi a spalmare miele sulle fette biscottate. Sai che ti direi un segreto? Di quelli che a volte non ti dicevo, mi limitavo a farmi venire gli occhi lucidi e a sorridere come un idiota. Di quelli di cui mi vergognavo, come quando ho pensato che quel giorno, sulla spiaggia e con il tuo vestitino blu, ti avrei amato per sempre.

Beh, io quest’oggi avrei un segreto da dirti, solo per te. Ti direi che non mi sono dimenticato la gabbia aperta. Ho lasciato scegliere a Gigi se rimanere o andare via.

Prendo il cellulare, scusa tesoro niente messaggio del buongiorno, non ora. Sì, questo al dottore non l’ho detto. Continuo a scriverti ogni giorno, a volte ti mando pure una foto, come l’altro pomeriggio in cui sono andato al faro senza di te per la prima volta. C’era un mare così scuro, quasi nero. Avresti dovuto vederlo, per quello ti ho mandato una foto.

Come sempre divago. Ora prendo il cellulare e metto una foto di Gigi. In realtà l’unica che mi viene in mente è di noi tre, tutti insieme, farò un ritaglio. Ecco fatto, schiaccio su pubblico. Problema di connessione?

Cazzo mi sono scordato di pagare internet, questo mese. Che poi, diciamo le cose come stanno, non era forse questa l’unica faccenda di casa di cui ti dovevi occupare?

No, ma che dici, non sono arrabbiato, figurati.

Anzi, avevo già deciso di fare altrimenti. Con i primi pantaloni che trovo, una giacca pesante, con sotto ancora il pigiama. Guardo fuori dalla finestra, dovresti vederlo come si muove agitato questa mattina.

Scendo lungo le scale che portano alla spiaggia sotto casa. Sai che in fondo sono contento?


È proprio bello il mare d’inverno. Chissà dov’è Gigi.

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